di Marcello Baldi – “Napule è mille culure” cantava Pino Daniele. Napoli è l’azzurro, colore del cielo, del mare, dell’undici di Luciano Spalletti che a breve sarà campione d’Italia per la terza volta nella sua storia. E’ il verde, il bianco e il rosso del tricolore che verrà cucito sul petto della maglia della prossima stagione. Di quel tricolore che i tifosi avrebbero voluto festeggiare già domenica pomeriggio, al termine del derby contro la Salernitana, tutti insieme nella loro casa intitolata alla leggenda immortale Diego Armando Maradona. Un urlo strozzato al minuto 84’, quando Boulaye Dia aveva deciso di indirizzare il mancino all’incrocio dei pali dove Meret non poteva arrivare, annullando l’iniziale vantaggio firmato Olivera e rinviando il sogno.
“Napule è a voce de’ criature” che poi è stato pianto per tanti bambini. Il pianto che ha accompagnato la momentanea delusione di molti tifosi. Ma dovranno solo pazientare qualche giorno prima di vedere ufficialmente il nome di Napoli campeggiare sopra la scritta “Campione d’Italia 2022-23”. Solo qualche giorno. Lo sanno i napoletani che, nonostante il risultato amaro e la giornata grigia, non hanno saputo né voluto rimandare i festeggiamenti.
“Napule è ‘na camminata” per le vie della città. Un tappeto azzurro che si srotola da Piazza del Plebiscito, per i Quartieri Spagnoli, per Spaccanapoli, per Fuorigrotta, dove si trova lo Stadio Maradona. Ed è nei vicoli della città che noi della redazione di bttfnews.it abbiamo voluto vivere da vicino lo stato d’animo della gente napoletana.
Camminando, incrociamo gli sguardi delusi di chi avrebbe voluto lasciarsi andare a una serata di gioia definitiva, totale e liberatoria. Come in una sorta di carnevale cittadino, è stato praticamente impossibile incontrare qualcuno per le vie che non indossasse una maglia o portasse con sé una scarpa, un accessorio, una reliquia (non ce ne voglia San Gennaro) dedicata alla squadra di Spalletti. Capigliature colorate e bizzarre su tutte quella ispirata da Osimhen.
Un tripudio di cori e bandiere, fumogeni e striscioni con le due parole magiche “Napoli Campione” già orgogliosamente esibite. Al diavolo la scaramanzia, tradizione irrinunciabile, quasi liturgica, da queste parti.
In previsione della festa scudetto, molti locali avevano deciso di restare chiusi: l’appuntamento con la storia vale troppo di più una giornata di mancati guadagni. E così è stato facile imbattersi in file chilometriche fuori dai pochi locali aperti. Ma anche le code sono diventate un’ulteriore occasione per trovarsi insieme, mescolarsi e festeggiare.
Obbligatoria la tappa nel cuore di Napoli, all’altare pagano realizzato sulla facciata di un palazzo di via Emanuele de Deo. Davanti al murales di Maradona, tante maglie di Kvaratskhelia il nuovo uomo simbolo di questo scudetto, che ieri avrebbe potuto mettere la parola fine sulla fuga del Napoli se solo il portiere avversario Ochoa non lo avesse ipnotizzato allo scadere. Nessuno oserà mai rimproverarlo, perché “Kvara” è già un figlio di Napoli, tant’è che in città è già nato il primo bimbo che porta il suo nome.
La festa definitiva dovrà attendere solo qualche giorno. Se mercoledì la Lazio battesse il Sassuolo basterebbe solo un punto contro l’Udinese. Un passo falso dei biancocelesti farebbe esplodere i fuochi d’artificio prima ancora di scendere in campo al Dacia Arena.
E allora sì che sarà solo festa, questa volta quella vera, indifferibile, dopo 33 anni di lunga attesa.
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