di Roberto Bernabai – “Bisogna crescere dalle critiche costruttive e legittimate da elementi fondati. Sono invece infondate quelle che arrivano a chiedere le dimissioni in un momento in cui sta finendo il mio mandato. Non esiste nell’ambito della governance federale che qualcuno pretenda le dimissioni o pretenda di comandare dall’esterno. Per quanto mi riguarda la scadenza è prevista a marzo 2025.“
Così Gabriele Gravina all’indomani della penosa prestazione offerta dalla Nazionale contro la Svizzera. Siamo fuori dall’Europeo senza l’onore delle armi e dopo aver scritto una delle pagine più oscure nella storia del calcio italiano. Un capitolo che, secondo il presidente federale, ha infiniti autori ma nessun responsabile.
Nel nostro Paese, si sa, l’istituto delle dimissioni è un concetto astratto all’interno del quale è possibile articolare interpretazioni di vario genere. Gravina sposa la tesi del “non si fugge di fronte alle avversità“, che tuttavia dal giorno del suo insediamento si sono sommate in maniera inquietante, e non tutte a causa di fattori esterni.
Si va avanti con chi ha guidato una spedizione che doveva difendere un titolo conquistato solo tre anni fa e che invece , giorno dopo giorno, si è rivelata un’imbelle armata Brancaleone. A guidarla, nel ruolo che fu di uno straordinario Vittorio Gassman, forse l’uomo più sbagliato nel posto sbagliato.
Intendiamoci, nessuno può permettersi di mettere in discussione le qualità assolute del Luciano Spalletti allenatore. La sua traiettoria professionale nelle squadre di club che ha allenato è lì a testimoniare il suo acume tattico, le sue capacità tecniche e morali, il senso del lavoro e del sacrificio. Qualità indispensabili in un contesto di squadra dove hai la possibilità di lavorare sul campo a tempo pieno su uomini e schemi. Ma di tempo per calarsi nel ruolo, per lui inedito di selezionatore azzurro Spalletti ne ha avuto oggettivamente poco. La fase sperimentale si è di fatto sviluppata nel corso di una competizione dove anche un solo passaggio a vuoto può risultare decisivo e fatale.
La nazionale è volata in Germania senza un volto ben delineato, senza una consapevole identità di gioco. Il continuo cambio di modulo e di uomini ha determinato uno stato di confusione totale nel quale ci siamo smarriti ben oltre i nostri limiti.
Spalletti ha allestito una rosa non eccezionale ma, al di là di qualche defezione più o meno discutibile, sufficientemente rappresentativa di quanto il campionato oggi possa proporre. Un gruppo carente sul piano della personalità per l’assenza di un uomo che facesse da guida e da riferimento ma neppure degno di prestazioni come quelle fornite contro Spagna e Svizzera.
Il gruppo, ben oltre le previsioni più pessimistiche, ha finito col perdere convinzione, forza morale e reattività di fronte all’incapacità improvvisa e all’impreparazione psicologica prima che tecnica, di far fronte alle difficoltà che inevitabilmente si sarebbero incontrate sul campo.
L’impressione di resa incondizionata nell’ultimo atto di fronte a Xhaka e compagni, è a mio avviso il dato più preoccupante emerso nel corso di questa sciagurata avventura. La rassegnazione con la quale ci siamo consegnati all’avversario non può mai e poi mai coniugarsi con le motivazioni che devono infondere l’onore e l’onere di vestire la maglia azzurra. Zero idee, zero cattiveria agonistica ma soprattutto la sensazione di un preoccupante distacco: quasi non si aspettasse altro che tornare in albergo a fare i bagagli.
Da marzo del prossimo anno inizierà il percorso di qualificazione ai mondiali del 2026. Fallire per la terza volta consecutiva significherebbe intonare il de profundis definitivo per un calcio che si fregia di quattro titoli iridati e di due continentali.
Con questi presupposti è complicato alimentare un livello anche minimo di positività. Se Spalletti, come sembra, sarà chiamato a proseguire la sua avventura azzurra, auguriamoci che l’intelligenza riconosciuta dell’uomo, ancor prima che dell’allenatore, lo accompagni nell’analisi degli errori commessi, cambiando strategie e adeguandosi alle esigenze di un compito difficile ma prestigioso come nessun altro. Inutile aggiungere poi che è arrivato il momento indifferibile di affrontare efficacemente i problemi strutturali di un movimento che naviga a vista e per forza d’inerzia, del tutto indifferente, se non a parole, di fronte ai segnali che si stanno moltiplicando in maniera desolante.
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