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Ricordi di calcio: “Viola, Eriksson e Cerezo”

Silio Rossi racconta aneddoti, incontri e storie di calcio vissute

di Silio Rossi – Più volte il presidente della Roma, Dino Viola, ha trovato la maniera di aggirare i regolamenti della Federcalcio. Gli veniva facile perché le norme stampate sulle carte federali, soprattutto negli anni Ottanta, davano sì le linee guida per il tesseramento di tecnici e calciatori provenienti dall’Estero, ma erano anche sufficientemente lacunose da prestarsi alle obiezioni e contestazioni delle società. Trovare una maglia larga era un gioco da ragazzi per legali e fiscalisti dei club che alla fine l’avevano sempre vinta.

Accadde la prima volta quando il presidente giallorosso tesserò Sven Goran Eriksson per sostituire Liedholm. L’ingegner Viola inviò alla Lega la documentazione con la quale informava di aver offerto un contratto di allenatore allo svedese. Ma farlo andare in panchina non fu facile.

Eriksson, poiché straniero, non poteva essere tesserato come allenatore ma solo come direttore tecnico e in panchina andava “sostituito” da un tecnico italiano col patentino di prima categoria. Viola lo individuò in Roberto Clagluna, che tanto bene aveva lavorato nel settore giovanile della Lazio e che sembrava essere il profilo giusto per dare una mano a Sven.

Viola però voleva Eriksson e ne studiò un’altra: convocò il Consiglio di Amministrazione della Roma e fece approvare l’ingresso dello svedese nel Cda della società. Lo fece poi nominare dirigente accompagnatore e fu questo l’escamotage che gli permise di essere al fianco di Clagluna in campo a indicazioni alla squadra.

Viola la spuntò anche una seconda volta, quando la Lega Calcio rispedì a Trigoria, con la motivazione di “presentazione ritardata“, la documentazione con la quale la Roma aveva messo sotto contratto Toninho Cerezo. Il brasiliano aveva impressionato Viola ai Mondiali di Spagna 1982 e lo aveva scelto per sostituire Herbert Prohaska.

Gli avvocati della Roma sollevarono un’infinità di controdeduzioni con le quali riuscirono a spuntarla, dopo una dura battaglia, contro la burocratica comunicazione da Milano.
La Roma aveva puntato il suo reclamo sul fatto che anche l’Udinese aveva avuto lo stesso problema nel tesseramento di Zico. Riuscirono quindi a scardinare le resistenze del presidente Federale del tempo Angelo Sordillo che non voleva altri stranieri in Italia. Le motivazioni si concentrarono sul ritardo dell’arrivo delle carte da Belo Horizonte che aveva costretto Giorgio Perinetti, emissario giallorosso, a definire il contratto con Cerezo con qualche minuto di ritardo rispetto al termine fissato dalla Lega.

Viola ebbe ragione ancora una volta e Cerezo poté iniziare la sua straordinaria avventura con la Roma, impegnata nella sua prima Coppa dei Campioni. Nella competizione il brasiliano diede il suo contributo importantissimo, perché la squadra raggiungesse la sfortunata finale del 30 maggio, persa poi contro il Liverpool, ai calci di rigore.

Proprio in quella stagione, grazie al carattere sminchionato e sempre sorridente di Gaetano Colucci, preparatore atletico della Roma, venne fuori la storia che Cerezo giocava con scarpini di jean e anche quella che, quando i campi erano gelati, il brasiliano aveva bisogno di bibite speciali.

Ricordo uno di questi freddi glaciali: la Roma era a Reggio Emilia per la gara di ritorno degli ottavi della Coppa Italia. Era febbraio, un freddo gelido accolte i giallorossi nella città del “Tricolore”. L’orario notturno della gara finì col peggiorare la situazione.
I calciatori scesero in campo coperti fino al possibile, solo Cerezo non chiese supplementi di abbigliamento. La Roma cercava soluzioni verticali, con i suoi attenti a non infortunarsi scivolando sul ghiaccio che aveva coperto una parte del campo.
Cerezo però proponeva il suo zig-zag orizzontale, ora facendosi trovare sulla fascia destra, ora dalla parte opposta. Fino a procurarsi l’occasione giusta per mettere in rete il gol del successo, con un rasoterra imprendibile.

Stasera per Tonino serve il Paraflu”, disse ridendo a crepapelle Colucci pensando all’antigelo che si metteva nei motori. Tornandoci su anni dopo raccontò: “La battuta m’è venuta spontanea, Con quel gelo a Reggio Emilia credevo proprio che il radiatore di Toninho s’ingrippasse”.

Silio Rossi

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